È immaginabile, che un paziente affetto da Parkinson, in uno stadio piuttosto grave, possa andare in bicicletta?

No, non è immaginabile. Eppure, succede. Un paio di articoli, pubblicati entrambi sul New York Times, raccontano di Parkinson e pedali.

Parkinson e bicicletta

La prima storia: un neurologo olandese, il dottor Bastiaan R. Bloem, scopre che un suo paziente, grave parkinsoniano, fa regolarmente kilometri di strada in bicicletta. Il dottore si rifiuta di credere alle parole del paziente; il paziente insiste, i due vanno - assieme ad un'infermiera, nel parcheggio dell'ospedale, dove l'infermiera ha la sua bici. Il paziente viene aiutato a salire in sella, e si mette a pedalare in scioltezza.

Se non ci credete, potete guardare questo video. A questo punto, il neurologo prova "mettere in sella" altri pazienti, e scopre, a sorpresa, che molti di loro riescono ad andare in bici dignitosamente bene.

Parkinson e tandem

La seconda storia, di nuovo pubblicata sul New York Times. Altro ricercatore, Jay L. Alberts, che lavora alla Emory University di Atlanta, ha deciso di partecipare ad una corsa non competitiva nello Iowa, in tandem, assieme ad una paziente, anche lei affetta da Parkinson. Lo scopo, sensibilizare l'opinione pubblica sulla patologia.

In questo caso, la paziente soffre di una forma meno grave della malattia. Ma, fra i sintomi, soffre di micrografia: la tendenza a scrivere piccolo, sempre più piccolo, fino a che la scrittura diventa illeggibile. Ebbene, alla fine di ogni tappa in tandem, la signora si accorgeva che il sintomo era - temporaneamente - scomparso.

Incuriosito da questo fenomeno, il dott Alberts ha iniziato a studiare l'effetto del movimento in bicicletta sul parkinson. E i primi risultati lasciano supporre che l'esercizio faccia bene.

L'aspetto saliente che emerge da questa ricerca, però, non è tanto che l'esercizio possa fare bene, ma che - per funzionare - il paziente debba essere forzato a muoversi ad un ritmo superiore a quello a lui congeniale.

Una spiegazione è di tipo fisiologico: forzare il paziente a muoversi più velocemente, a fare più fatica, aumenta l'esercizio e dunque il beneficio.

Topolini ed esercizio fisico

C'è, però, una spiegazione alternativa, che emerge da studi su cavie (sì, i soliti topolini da laboratorio). Nell'esperimento, gli animali sono stati assegnati a tre gruppi sperimentali:

  • al gruppo di controllo non veniva permesso di fare esercizio fisico (gruppo sedentario);
  • ad un gruppo sperimentale era concesso di muoversi, sulla ruota per criceti (gruppo movimento volontario);
  • il secondo gruppo sperimentale era forzato a correre sulla ruota, seppure ad una velocità relativamente bassa (gruppo movimento forzato).

In totale, ai due gruppi sperimentali veniva fatto percorrere la stessa strada. In media, però, il gruppo che poteva muoversi volontariamente correva molto più velocemente.

I risultati sono stati interessanti. In primo luogo, gli animali forzati a correre mostravano segni di stress emotivo (e questo non è sorprendente). Sorprendente è il fatto che il processo neurogenerativo (di creazione di nuovi neuroni) era più evidente negli animali forzati a correre che in quelli che correvano liberamente. Una delle ipotesi esplicative è che un certo livello di stress possa far bene al cervello. (il pdf dell'articolo)

Conclusioni

Il movimento fisico fa bene, anche alle persone che soffrono di Parkinson. Perché l'attività sia efficace, però, è necessario che l'attività fisica sia intensa (naturalmente, su misura per il paziente). E, probabilmente, alcune dosi di stress fanno bene.

Prenditi cura di te

Investi nel tuo benessere: il corso online di 10 incontri per coltivare la salute psicologica e promuovere la crescita personale.

Categorie

depressione (3) | mindfulness (3) | neuropsicologia (3) | neuroscienze (3) | psicologia sociale (5) | salute (5) | sessualità (4) |

Tag

alcol (5) | ansia (6) | cervello (3) | depressione (6) | farmaci (3) | prevenzione (3) | psicoterapia (4) | relazioni (3) | ricerca (4) | sessualità (4) | stress (3) |