Ti capita mai di essere sotto stress? Scommetto di sì, per un motivo banale: capita a tutti.

Ma che cos'è lo stress? Come funziona il meccanismo dello stress? Lo stress fa male? Sempre? Cosa possiamo fare per gestire lo stress?

Lo stress: cos'è?

Lo stress è una risposta psicologica e fisiologica ad uno stimolo o una situazione che viene valutata come impegnativa. Come funziona questo meccanismo?

Livello di attivazione

Il nostro corpo (vale non solo per gli umani ma per tutti i mammiferi) ha un complesso meccanismo di regolazione del proprio stato di attivazione, che ci permette di passare da uno stato di bassa attivazione (ad esempio nel sonno) ad uno stato di attivazione molto alto [Nesse et. al. (2016)]. Metaforicamente possiamo immaginare un sistema di regolazione che va dal "risparmio energetico" al "turbo".
Il sistema che ci permette di modulare il livello di attivazione è molto complesso, ma è regolato principalmente da due meccanismi: simpatico e parasimpatico, che compongono il sistema nervoso autonomo.
Il sistema simpatico permette al nostro corpo e al nostro cervello di aumentare il livello di attivazione, ed è alla base dello stress.

La modalità turbo (il sistema simpatico) si attiva quando si presenta una situazione che il nostro cervello considera impegnativa, e dunque ritiene necessaria una risposta "fight or flight" (combatti o fuggi), e prepara il nostro corpo all'azione: vi è un incremento del battito cardiaco, della pressione del sangue, della sudorazione, della frequenza respiratoria, una dilatazione delle pupille, e il processo digestivo rallenta.
Il sistema parasimpatico è il sistema "rest and digest": riposati e accumula energie. Permette al corpo di rilassarsi, di risparmiare energie e di aggiustarsi, se necessario. Il cuore rallenta, il respiro rallenta, la pressione cala. Quando il parasimpatico si attiva inibisce il simpatico, e viceversa.

Il meccanismo di attivazione

Il sistema simpatico è molto complesso, ma si basa principalmente sull'interazione fra l'ipotalamo, l'ipofisi e la corteccia surrenale (l'asse ipotalamo-ipofisi surrene, o HPA: Hypothalamic-Pituitary-Adrenal axis)[^1]. L'ipotalamo è una struttura del cervello che riceve informazioni, fra le altre, dalla corteccia prefrontale (che ci serve per ragionare), dall'amigdala (che ci permette di elaborare la valenza emotiva degli stimoli, Daviu et. al. (2019)) e dall'ippocampo (che ci permette di ricordare il passato e di riconoscere i luoghi) [Godoy et. al. (2018)].

[^1]: Tecnicamente il simpatico e l'asse ipotalamo-ipofisi-surrenale sono due sistemi diversi [Peifer et. al. (2014)], ma per semplicità possiamo assumere un unico meccanismo.

Quando il nostro cervello, nel lavoro combinato di corteccia prefrontale, amigdala e ippocampo, identifica una situazione potenzialmente stressogena, invia il segnale all'ipotalamo, che a sua volta attiva l'ipofisi, che attiva la corteccia surrenale (che si trova sopra ai reni). La corteccia surrenale rilascia due ormoni, cortisolo e adrenalina, che influiscono sulla fisiologia del nostro corpo. Il cortisolo regola (aumenta) il livello di zuccheri nel sangue, aumenta il metabolismo e inibisce il sistema immunitario.
L'adrenalina aumenta la frequenza cardiaca, la pressione del sangue e la frequenza della respirazione.
Questi effetti di cortisolo e adrenalina sono finalizzati a preparare il corpo all'azione ("fight or flight"). L'adrenalina agisce anche sul cervello, aumentando l'attenzione, la concentrazione e la memoria.

Quando la situazione si risolve l'asse ipotalamo-ipofisi-corteccia surrenale si spegne e il livello di attivazione si abbassa.

Imprevedibilità, incontrollabilità, importanza

Il sistema simpatico si attiva quando il cervello ritiene che la situazione sia impegnativa e richieda tutte le nostre risorse.
La distinzione fra sfidante e stressante è, per molti versi, psicologica.
Quando una situazione impegnativa è vissuta come stressante? Ci sono alcuni fattori - fra loro legati - che rendono stressante una situazione:

  • l'imprevedibilità (o la difficoltà a prevedere che succeda)
  • la non controllabilità [Koolhaas et. al. (2011)]
  • il fatto che la sfida sia - o sia percepita - superiore alla nostra capacità di affrontarla
  • il fatto che l'esito di quella situazione possa avere conseguenze importanti, in termini di incapacità di sfruttare una opportunità o in termini di perdite - danni importanti per il nostro benessere.

La non controllabilità è il fattore più importante. Il non riuscire - o il pensare di non riuscire - a gestire una situazione la rende più stressante, soprattutto se le conseguenze possono essere importanti. Se - al contrario - la persona ha la sensazione di poter controllare gli eventi, ecco che il livello di allerta e di attivazione rimane alto ma la situazione è significativamente meno stressante.

Gli altri aspetti sono, di fatto, aspetti diversi della non controllabilità:

  • non controllare il quando (imprevedibilità)
  • non controllare il quanto (e dunque la possibilità di sovraccarico)
  • non controllare l'esito
  • non controllare il perché, e dunque la motivazione all'azione

Situazione e risorse

La distinzione fra sfidante e stressante è psicologica. Ma come avviene questa valutazione? Secondo Lazarus et. al. (1984) quando un individuo incontra una situazione, fa due valutazioni:

  • in primo luogo, valuta le possibili conseguenze (irrilevanti, positive o potenzialmente negative);
  • il secondo passaggio consiste nel valutare se l'individuo dispone delle risorse per affrontare la situazione; se la persona pensa di avere le risorse necessarie, la situazione viene vissuta come sfidante (eustress, stress buono), altrimenti viene vissuta come stressante (distress, lo stress cattivo)

Stress buono, stress cattivo, stress cronico

Nella letteratura scientifica si distingue fra eustress (stress buono) e distress (stress cattivo) [Lu et. al. (2021)]. Perché lo stress non è sempre negativo, anzi. Per capire quando lo stress è buono (l'eustress) è utile riferirsi proprio al concetto di controllabilità. Una situazione impegnativa ma che può essere controllata non è necessariamente negativa, soprattutto se il livello di difficoltà (e di attivazione) non è eccessivo in intensità e in durata.
Uno stimolo viene vissuto come sfidante se non è troppo imprevedibile e se abbiamo la sensazione di riuscire a gestirlo, ovvero se abbiamo le risorse (materiali, non materiali e di conoscenza) per affrontarlo.

Questa consapevolezza - che esiste lo stress buono - può aiutare le persone a re-interpretare una situazione da stressante a sfidante, e dunque come opportunità di crescita e di sviluppo personale. Questo è un aspetto che viene enfatizzato nella psicoterapia cognitivo comportamentale, che spesso usa un moderato livello di stress a fini terapeutici (stress inoculation).

Il modo in cui percepiamo ed interpretiamo una situazione impegnativa influisce sulla nostra reazione e sul modo in cui la viviamo (anche questo è un principio al centro della psicoterapia cognitiva). Se viviamo la situazione come pericolosa o soverchiante, la nostra reazione sarà negativa (lo stress brutto). Se la viviamo come gestibile, è più probabile che la vivremo come sfidante ed eccitante. I nostri pensieri, le nostre credenze, le nostre attitudini giocano un ruolo importante nel determinare il livello di stress e nel viverlo come stress buono o cattivo.

Eustress

lo stress buono (eustress) non solo è meno spiacevole, ma può avere degli effetti positivi sul nostro benessere.

Quando veniamo esposti ad un livello di stress moderato aumentiamo la nostra capacità di tolleranza dello stress e sviluppiamo dei meccanismi di gestione dello stress che possiamo utilizzare in situazioni future, aumentando anche la nostra resilienza.
Cortisolo e adrenalina, in quantità moderate, ci aiutano ad essere all'erta e focalizzati sul compito, e questo può aiutarci ad affrontare meglio i compiti complessi. Un moderato livello di stress promuove la neurogenesi, ovvero lo sviluppo di nuovi neuroni.
Infine, riuscire a superare situazioni impegnative (e stressanti) ci trasmette un senso di realizzazione e padronanza. Questo può aumentare la nostra autostima e la nostra resilienza, rendendoci meglio attrezzati per gestire futuri fattori di stress.

bisogno di mastery, di autostima; apprendimento di coping

Stress cronico

Quando una persona è esposta a delle situazioni stressanti per un periodo di tempo lungo - settimane, mesi, anni - e in maniera continuativa, parliamo di stress cronico. Lo stress cronico generalmente è la conseguenza di problematiche di tipo relazionale, finanziario, di salute o legate al lavoro, ovvero problemi che generalmente durano a lungo.
Lo stress cronico è caratterizzato da una frequente, prolungata e sostenuta attivazione del sistema simpatico e degli ormoni ad esso associati, cortisolo ed adrenalina. Il risultato è un aumento del battito cardiaco, dei livelli di zucchero nel sangue e così via. Se questa situazione dura a lungo si possono sviluppare patologie cardiovascolari, problemi al sistema immunitario, diabete [Yaribeygi et. al. (2017)].

Se valutiamo lo stress (buono/sfidante vs. cattivo) in base alla valutazione fra situazione e risorse (ho/non ho le risorse necessarie per affrontare) possiamo vedere lo stress cronico come la situazione in cui la persona ha, all'inizio, le risorse per affrontare la situazione ma, nel lungo termine, le risorse si consumano e non vengono reintegrate: si scaricano le pile e non vengono ricaricate.

Lo stress cronico ha degli effetti negativi anche sul cervello, in quanto gli ormoni dello stress hanno un effetto neuropatogeno. Lo stress cronico può portare ad una atrofizzazione dell'ippocampo, che è alla base della memoria episodica, e questo può portare a problemi di memoria e apprendimento. Può indurre dei cambiamenti nella corteccia prefrontale, e questo può portare a dei problemi di impulsività, difficoltà nei processi decisionali e nel regolare le emozioni [Yaribeygi et. al. (2017)].

Anche l'amigdala può subire alterazioni dallo stress cronico, e questo può indurre problemi di ansia e depressione.

Stress cronico e burnout

Lo stress cronico può essere precursore di burnout.

Il burnout è uno stato di esaurimento emotivo, fisico e mentale che deriva dall'esposizione prolungata a fattori stressanti, in particolare sul luogo di lavoro ma anche in contesti famigliari, ad esempio nell'assistenza a persone invalide. È spesso conseguenza di carichi di lavoro eccessivi e stressanti con una limitata possibilità di controllare le situazioni e ridotto supporto sociale. Il burnout può avere conseguenze negative per la persona che ne soffre e per l'organizzazione, in quanto può portare a diminuzione della produttività, aumento dell'assenteismo e alto tasso di turnover. Vi è una correlazione fra alcuni sintomi tipici del burnout (esaurimento emotivo, depersonalizzazione) e il livello di cortisolo nei capelli delle persone (indicatore di stress cronico).

Inoltre lo stress cronico, anche se causato da fattori esterni a quello lavorativo, può portare a sintomi di depressione e ansia, che possono rendere difficile per gli individui far fronte alle richieste del loro lavoro e possono contribuire ad innescare sintomi di esaurimento emotivo e depersonalizzazione.

Le cause dello stress psicologico

Alcune delle fonti di stress psicologico più comuni includono:

  1. Stress legato al lavoro: ad esempio in circostanze di insicurezza lavorativa, orari di lavoro o carico di lavoro eccessivo, problemi di relazione con colleghi o superiori.
  2. Stress finanziario: problemi economici, debiti, disoccupazione e insicurezza finanziaria in genere.
  3. Stress relazionale: problemi nelle relazioni di coppia, nelle relazioni con altre persone del nucleo famigliare, con amici o parenti.
  4. Stress legato alla salute: ad esempio in presenza di malattie croniche, disabilità o quando è necessario assistere un familiare malato.
  5. Eventi traumatici: quando si è in qualche modo vittima di disastri naturali, incidenti o forme di violenza; simili circostanze possono portare al disturbo da stress post-traumatico.
  6. Gli eventi importanti della vita, soprattutto quelli negativi, quali lutti e separazioni.
  7. Stress sociale: problemi nelle relazioni sociali, anche - ma non solo - in presenza di discriminazione, pregiudizio o isolamento sociale.

Stress e evoluzione

Nella prospettiva evoluzionistica, la reazione fisiologica, psicologica e comportamentale agli eventi e alle situazioni stressogene ha un importante funzione nel permettere agli individui di sopravvivere, soprattutto nelle circostanze in cui la situazione può mettere in pericolo la loro incolumità. Non è un caso che la reazione innescata dal sistema simpatico venga definita "fight or flight", combatti o fuggi.
Il problema è che, oggi, a stressarci è il traffico che ci costringe ad arrivare in ritardo ad una riunione importante, o il capo (o il cliente) che vuole il lavoro "per ieri". Nella maggior parte delle circostanze che viviamo come stressanti oggi, combattere o fuggire non sono opzioni praticabili. E allora noi percepiamo lo stress, aumenta il battito cardiaco, aumenta la pressione, siamo pronti all'azione fisica ma siamo costretti a rimanere seduti in macchina aspettando il verde, o davanti al PC a finire quel documento.

In letteratura questa discrepanza fra la modalità di reazione che abbiamo ereditato dai nostri progenitori e l'ambiente in cui viviamo è definita evolutionary mismatch [Nesse et. al. (2016); Brenner et. al. (2015); Corbett et. al. (2018)], ovvero un disallineamento, un disadattamento evolutivo: il nostro ambiente e lo stile di vita moderni sono molto diversi dall'ambiente in cui i nostri antenati si sono evoluti. Di conseguenza, molte delle soluzioni evolutive che un tempo erano utili per la sopravvivenza sono ora inadeguate e possono avere un impatto negativo sulla salute e sulla performance.
Diventa dunque necessario, per evitare questi impatti negativi, modulare la risposta e il livello di attivazione.

Gestire lo stress

Capire lo stress ci aiuta ad affrontarlo. Nei paragrafi precedenti abbiamo capito che:

  • quando incontriamo una situazione impegnativa il nostro cervello attiva il sistema simpatico e l'asse ipotalamo-ipofisi-surrenale (la modalità turbo);
  • se interpretiamo la situazione come sfidante e gestibile entriamo in una modalità di stress buono (eustress) e - in determinate circostanze - nello stato di flusso di esperienza ottimale;
  • se interpretiamo la situazione come non gestibile o difficilmente gestibile da sfidante diventa stressante [Daviu et. al. (2019)]; il livello di attivazione supera la soglia di attivazione ottimale, con ripercussioni negative a livello emotivo (ad esempio ansia), cognitivo (il nostro ragionamento diventa meno flessibile), di performance (se siamo agitati la nostra performance peggiora);
  • se la situazione si innesca in maniera imprevedibile (non abbiamo il controllo dei tempi), e se non abbiamo la possibilità di gestirne lo sviluppo, è più probabile che diventi stressante;
  • quando il livello di attivazione turbo dura troppo a lungo - a maggior ragione nella condizione stressante - si innescano degli effetti collaterali negativi che, nel medio-lungo periodo, possono portare alla condizione di burnout;
  • la reazione fisiologica allo stress è il frutto di evoluzione, e spesso non è appropriata per le situazioni stressanti che viviamo oggi (evolutionary mismatch)

Contesto lavorativo

Spesso, soprattutto in ambito lavorativo, ad essere stressante non è un problema o un evento ma il contesto: carichi di lavoro eccessivi, mancanza di autonomia, clima organizzativo pesante, rapporti sociali conflittuali.

In questo caso è necessario intervenire soprattutto sul contesto: modulando i carichi, migliorando i processi, garantendo autonomia alle persone, incentivando lo sviluppo di relazioni costruttive [Tetrick et. al. (2015)]. Mantenere un contesto malsano e aspettarsi che le persone siano resilienti non è solo eticamente deprecabile, ma controproducente per l'organizzazione, perché contesti simili aumentano il turnover, diminuiscono l'impegno e il coinvolgimento delle persone, aumentano le assenze per malattia e il processo in genere risulta poco produttivo.

Gestione personale

Al netto delle circostanze in cui è necessario un approccio organizzativo, personalmente come possiamo affrontare le situazioni stressanti? Tecnicamente, la gestione dello stress è definita coping [Taylor et. al. (2007)]. Sono le attività e i processi che le persone mettono in atto per gestire, ridurre o tollerare le situazioni stressanti. Le strategie possono lavorare sul livello cognitivo, emotivo, fisiologico della persona, sul suo comportamento e sulla situazione stressante.

Le strategie

strategia problema cognitivo emotivo fisiolog comport sociale
evitamento
autonomia
rielaborazione
cognitiva
problem solving ~
gestione risorse
mastery
attitudine:
fiducia,
autostima
supporto sociale
rilassamento ~
respirazione
mindfulness
attività fisica ~
tempo libero

Table: le strategie di coping e l'impatto sui livelli cognitivo, emotivo, fisiologico, comportamentale e sociale.

Evitamento

Evitare il problema (strategia di evitamento), procastinare (che è una forma di evitamento) sono strategie efficaci - nel breve termine - a modulare le emozioni. Allontanarsi va bene nei momenti di picco dello stress, se non si riesce a fare di meglio. Nel medio-lungo termine risultano però dannose, non-adattive: il problema permane e spesso si complica, e il comportamento evitante riduce la nostra autostima: se scappo significa che non sono capace. Un altro approccio che ha una qualche efficacia nel breve ma è molto dannoso nel medio-lungo termine è l'abuso di sostanze (alcool, droghe, abuso di calmanti e ansiolitici).

Le strategie che sul medio lungo termine sono più efficaci cercano di affrontare il problema, di aumentare le proprie risorse (psicologiche, di conoscenza, risorse sociali), o di ripristinarle attraverso attività che permettono di "ricaricare le pile" o di modulare il proprio livello di attivazione.

Autonomia

Come abbiamo visto, le situazioni imprevedibili e quelle in cui abbiamo poco controllo sono vissute come più stressanti. Questo perché ci manca l'autonomia necessaria per affrontare il problema e gestirlo, siamo in balia degli eventi. Per questo motivo, sia a livello organizzativo che a livello personale, è importante garantire (o garantirsi) un ragionevole livello di autonomia. Una ragionevole autonomia nella pianificazione dei tempi, ad esempio, ci permette di modulare il carico di lavoro, per mantenerlo sotto la soglia di stress. L'autonomia sulle modalità di approccio al problema ci permette di decidere come affrontarlo, e questo ci apre la possibilità di adottare approcci innovativi, imparare cose nuove e ridurre il rischio di monotonia.
Da un punto di vista organizzativo l'autonomia implica il fatto che la persona veda riconosciuta la propria prospettiva, possa fare delle scelte, prendere delle decisioni, ricevere feedback significativi, poter prendere l'iniziativa, poter affrontare situazioni con un livello di sfida appropriato. Prevede che, quando ad una persona viene chiesto di fare qualcosa, la richiesta venga motivata e ne vengano spiegate le ragioni [Deci et. al. (2017)].

Un buon livello di autonomia non solo riduce lo stress ma ha un impatto motivazionale: l'autonomia è prerequisito affinché le persone siano intrinsecamente motivate, ovvero motivate a fare qualcosa anche per il piacere di farlo.

Se, al contrario, la persona si sente forzata e controllata nelle proprie azioni, la sua motivazione intrinseca cala, e fa le cose solo perché costretta.

Rielaborazione cognitiva

Nel momento in cui affrontiamo una situazione impegnativa la interpretiamo, inconsapeovolmente, da una certa prospettiva. Quella che adottiamo è una delle interpretazioni possibili, da uno dei possibili punti di vista.
Provare ad assumere prospettive diverse e valutare interpretazioni differenti può essere una strategia efficace per più motivi:

  • permette di valutare meglio i rischi e le opportunità della situazione
  • permette di evitare quei bias negativi che innescano comportamenti controproducenti, ad esempio di evitamento
  • permette di adottare delle strategie di problem solving più innovative e più creative, aumentando la possibilità di risolvere la situazione
  • permettono di identificare risorse e modalità differenti per affrontare il problema

Le nostre interpretazioni, infatti, possono essere soggette a bias. Particolarmente insidioso, in questo contesto, è il bias di negatività, ovvero la tendenza che hanno le persone a prestare più attenzione e dare maggior peso alle informazioni e alle interpretazioni negative che a quelle positive.
Queste distorsioni possono indurci a vedere la situazione come non gestibile, pericolosa, innescando lo stress cattivo, mentre la rielaborazione può aiutarci a ridurle, ad assumere delle prospettive diverse ed attribuire significati diversi alla situazione.

Reinterpretare la situazione da pericolosa a gestibile ha - indirettamente - un effetto positivo sul comportamento e sulle emozioni. La situazione diventa sfidante, e può venir vista come una opportunità di crescita.
Se le emozioni migliorano, è più facile adottare delle strategie di approccio al problema. Reinterpretare la situazione può aiutarci anche ad identificare soluzioni diverse. Analizzare il problema da più punti di vista ci permette di avere una visione più corretta ed una flessibilità cognitiva che ci aiuta nel prendere le decisioni corrette.

La rielaborazione può promuovere la flessibilità cognitiva, perché ci induce a considerare diverse prospettive, a mettere in discussione i nostri pregiudizi e le nostre assunzioni.

Può incentivare la creatività: le persone più creative tendono ad essere più efficaci nella rielaborazione [Fink et. al. (2017); Wu et. al. (2017)]. Usare la rielaborazione come strategia può dunque aiutare anche a trovare soluzioni innovative.

Può aiutarci a prendere decisioni migliori: vedere un problema da diverse angolazioni può portare a una comprensione più completa della situazione. Questa prospettiva più ampia consente un processo decisionale più informato, poiché possiamo considerare una gamma più ampia di fattori e possibili risultati.

Mettere in discussione i propri pensieri, credenze e interpretazioni riguardo a una situazione può portare a un cambiamento nell'esperienza emotiva e nella risposta comportamentale. È un componente chiave della terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e viene spesso utilizzata per aiutare le persone a gestire e regolare le proprie emozioni in modo più adattivo e funzionale.

Infine, tornando alla distinzione iniziale fra stressante e sfidante: è possibile che la rielaborazione ci porti a vedere una situazione da stressante a sfidante, ad interpretarla come una opportunità di crescita (se combinata con autonomia e supporto sociale).

Varie tecniche possono aiutarci a mettere in discussione l'interpretazione iniziale:

  • Cambiare prospettiva, considerare punti di vista alternativi e cercare di capire la situazione da diverse angolazioni. Ciò può aiutare a mettere in discussione l'interpretazione iniziale ampliando la comprensione della situazione e considerando altri fattori che potrebbero influenzarla.
  • Valutare i fatti, sia quelli che confermano le nostre interpretazioni iniziali, ma soprattutto quelle che appaiono disconfermarle.
  • Identificare e mettere in discussione i pensieri negativi o distorti e sostituirli con pensieri più realistici ed equilibrati, soprattutto alla luce dei punti precedenti. Ad esempio, se qualcuno interpreta una situazione come un fallimento personale, può riformularla come un'opportunità di apprendimento o un contrattempo temporaneo.
  • Confrontarsi con qualcuno, chiedere il loro punto di vista ci permette di avere una prospettiva diversa e di raccogliere o elaborare informazioni che non avevamo o non avevamo colto.
  • Affrontare la situazione è, di fatto, una forma di rielaborazione: nel momento in cui adottiamo delle strategie di problem solving, raccogliamo nuove informazioni, muoviamo i primi passi verso la soluzione abbiamo la possibilità di vedere la situazione in una prospettiva diversa.
  • Praticare delle forme di mindfulness può aiutarci a prendere coscienza delle nostre interpretazioni iniziali e dei giudizi senza accettarli immediatamente come veri. Osservando i propri pensieri e le proprie emozioni in modo non giudicante, possiamo creare spazio per l'emergere di interpretazioni alternative.

Affrontare la situazione stressante

Il miglior modo per superare una situazione stressante è, se possibile, risolverla.

Il modo in cui affrontiamo la situazione varia a seconda della sua natura. In alcune circostanze sappiamo già come fare, e l'eventuale difficoltà sta nel mettere in atto le azioni necessarie. In altre circostanze ci è chiaro l'obiettivo ma non sappiamo bene come raggiungerlo. Esistono infine delle circostanze in cui non abbiamo chiaro nemmeno l'obiettivo.
Nel primo caso l'intento è di portare a termine il compito nella maniera più efficiente possibile, rispettando i tempi e minimizzando le risorse (di tempo, cognitive, emotive, materiali).
Se sappiamo il cosa vogliamo ottenere ma non il come, dobbiamo affrontare un processo di problem solving.
Nell'ultima circostanza, infine, dobbiamo prima di tutto definire il problema.

Un modo sistematico per affrontare una situazione è dunque questo:

  1. Definire lo scopo, se possibile in modo chiaro e specifico [Locke et. al. (2019)]. Bisogna definire l'impegno necessario e decidere di impegnarsi, di investire tempo, energie e risorse.
  2. Definire il percorso necessario per ottenere lo scopo. Se il percorso non è noto è necessario un processo di problem solving per identificare una possibile soluzione.
  3. Una volta identificato un piano di massima, è necessario metterlo in atto. La metodologia Getting Things Done suggerisce di prendere nota di tutti i compiti necessari per portare a termine l'attività; di analizzarli per capire cosa va fatto e come va fatto; di organizzare le cose da fare; naturalmente di farle; di rivedere periodicamente le cose fatte e la lista di cose da fare e di riflettere sul processo, per capire cosa e come migliorarlo.

Dobbiamo raccogliere informazioni, scomporre il problema in componenti più piccole, generare possibili soluzioni e valutarne la fattibilità. Questo processo spesso comporta tentativi ed errori, sperimentazione e apprendimento dagli errori commessi. Richiede flessibilità, creatività e la capacità di adattare il nostro pensiero man mano che acquisiamo nuove intuizioni.

Gestire le proprie risorse

Per portare a termine un compito porsi degli obiettivi e pianificare le azioni non basta. È necessario impegnarsi per portare a termine le attività necessarie. Questo presuppone la necessità di investire le risorse necessarie: tempo, risorse materiali, a volte denaro, risorse cognitive, emotive, motivazionali.

Dunque dobbiamo valutare le risorse necessarie e capire di quali risorse disponiamo. Dobbiamo conservare le risorse e non sprecarle, e quelle utilizzate dobbiamo ricaricarle, ricaricare le pile.
Nel momento in cui ci impegnamo in una attività dobbiamo dunque:

  • valutare le risorse necessarie: materiali, di tempo, di conoscenza, risorse sociali;
  • capire di che risorse disponiamo e se possiamo investirle;
  • pianificare, in modo da usare queste risorse in maniera efficace, evitando di sprecarle;
  • identificare il modo per recuperare le risorse investite, per ricaricare le pile ed evitare il burnout;
  • fare il possibile affinché l'attività abbia, in se, un ritorno in termini di soddisfazione, apprendimento, coltivazione di relazioni positive, di aumento dell'autostima, della resilienza; tutto questo rientra nel bilancio delle nostre attività, e riduce il rischio di stress negativo e burnout.

Risorse e motivazione intrinseca

I nostri comportamenti sono frutto di abitudini, di motivazioni estrinseche (per raggiungere uno scopo) o per motivazioni intrinseche, ovvero perché l'esperienza in sé ci da soddisfazione. Siamo anche intrinsecamente motivati quando l'esperienza soddisfa alcuni bisogni: il bisogno di competenza (imparare cose nuove e mettere in pratica la nostra conoscenza), di socialità (quando l'attività è fatta con persone che ci fanno stare bene), di autostima e auto-efficacia (dimostrare a noi stessi che sappiamo fare quella cosa) e di autonomia, se abbiamo dei margini per decidere come affrontare la situazione.
Le attività che sono anche intrinsecamente motivate hanno dunque un costo (tempo, energia, risorse materiali) ma anche dei guadagni, in termini di competenza, socialità, autostima, autonomia. Questi guadagni ci permettono di arricchire il nostro bagaglio di risorse, e dunque diminuisce il rischio di "esaurimento" che causa burnout.

Attitudini positive

Nel valutare se una situazione è stressante o sfidante, e nel decidere se e come affrontarla, facciamo, implicitamente, una valutazione di come dobbiamo muoverci e un bilancio delle risorse e delle competenze necessarie e delle risorse e competenze di cui disponiamo: se abbiamo le risorse la situazione sarà sfidante, altrimenti la viviamo come stressante.

Fare queste valutazioni e questo bilancio è tuttaltro che banale: ci sono eventi e circostanze che non possiamo prevedere, e che potrebbero costringerci a cambiare piani e cambiare percorso. Valutare le risorse necessarie non è facile, e non è facile fare una stima delle risorse che abbiamo.

Le valutazioni e il bilancio che facciamo saranno dunque soggettive, e saranno influenzate da alcune nostre attitudini. Per pensare di poter superare le situazioni più impegnative abbiamo bisogno che alcune di queste attitudini siano almeno moderatamente positive.

Ottimismo e speranza

Due attitudini che hanno un effetto positivo sulla gestione dello stress sono l'ottimismo e la speranza. Ottimismo e speranza sono attitudini mentali positive nei confronti del futuro, una tendenza a focalizzarsi sugli aspetti positivi. L'ottimismo tende ad essere più generalizzato: una persona ottimista ha una visione positiva in molteplici contesti. La speranza è più specifica di un dato contesto o un particolare scopo [Feldman et. al. (2015)]. L'ottimismo è una prospettiva positiva nei confronti della vita, la speranza nei confronti di uno specifico risultato. L'ottimismo può essere visto come il contrario del bias di negatività. La speranza è la convinzione che [@Snyder et. al. (2002)]:

  • esiste almeno un percorso che permette di raggiungere lo scopo
  • abbiamo la conoscenza e le risorse per percorrere il percorso
  • abbiamo la determinazione per investire le risorse necessarie e che saremo in grado di affrontare gli ostacoli e gli imprevisti.

Il secondo punto è legato alla nostra auto-efficacia, che è la convinzione che noi abbiamo le risorse, le conoscenze e le motivazioni necessarie per portare a termine il compito.

La capacità di affrontare gli ostacoli, gli imprevisti, i fallimenti è legata alla nostra resilienza, ovvero la nostra capacità di resistere agli eventi avversi o di rimetterci in piedi e proseguire il nostro percorso.

Le persone ottimiste e le persone che coltivano la speranza tendono non solo a vivere meglio, ma anche ad essere più efficaci, in quanto tendono ad avere una maggiore persistenza nei confronti degli ostacoli.
La speranza ci aiuta a considerare una situazione impegnativa come sfidante e non come stressante.

Negatività funzionale

Il bias di negatività è una distorsione cognitiva che ci porta a focalizzarci prevalentemente sulle esperienze negative e su tutto ciò che può andare storto. È un atteggiamento molto disfunzionale se ci provoca ansia, se incide negativamente sulla nostra speranza e induce un atteggiamento rinunciatario: inutile provarci perché sicuramente andrà tutto male.
D'altro canto prestare la giusta attenzione alle difficoltà, ai rischi, a ciò che può andare storto è estremamente utile per pianificare le nostre azioni e per essere preparati nel caso le previsioni più pessimistiche si dovessero realizzare. Potremmo definire questa attitudine come negatività funzionale.
Ottimismo e speranza ci aiutano a patto di non ignorare i rischi. Ma, in caso di difficoltà, ci danno la motivazione per proseguire e trovare una soluzione.

Supporto sociale

Poter contare sulla presenza e sull'aiuto di qualcuno (famiglia, amici, colleghi) ha un impatto importante sul livello di stress [Hostinar et. al. (2014)].
Sono tre le dimensioni in cui il supporto sociale può avere un impatto:

  • la dimensione emotiva: il supporto emotivo può fornire alle persone un senso di conforto, empatia e validazione, che può aiutarle a sentirsi meno sole e più capaci di gestire lo stress;
  • la dimensione cognitiva: possiamo ricevere consigli, informazioni, conoscenza; e le altre persone ci possono aiutare a reinterpretare la situazione e a fare una ristrutturazione cognitiva;
  • la dimensione dell'aiuto pratico: colleghi, amici e famigliari possono darci una mano nell'affrontare la situazione stressante.

Le persone con reti di supporto sociale solide tendono a sperimentare risposte allo stress meno gravi e di più breve durata rispetto a quelle con sistemi di supporto più deboli.

Tecniche per gestire la reazione fisiologica

Tecniche di rilassamento, di respirazione, attività fisica sono utili soprattutto alla luce dell'idea di disallineamento evolutivo: il sistema simpatico prepara il corpo all'azione fisica, sebbene nella maggior parte dei casi, nel contesto contemporaneo, i problemi non possono essere risolti combattendo o fuggendo.
Vi sono alcune tecniche che possono contribuire a modulare la reazione fisiologica.

Respirazione

La frequenza con cui respiriamo ha un effetto sul sistema autonomo simpatico/parasimpatico. Una alta frequenza incentiva il sistema simpatico, mentre una bassa frequenza lo inibisce e innesca il sistema parasimpatico [Russo et. al. (2017); Zaccaro et. al. (2018)].
Degli esercizi di respirazione possono dunque aiutare a modulare la reazione fisiologica. Prenditi due, cinque minuti di pausa; concentrati sulla respirazione; ascolta il tuo respiro e, dolcemente, portalo ad una respirazione più profonda e più lenta, se possibile con una frequenza di non più di 6 respirazioni al minuto.

Rilassamento muscolare

Mettiti in ascolto del tuo corpo, e porta in tensione e poi rilassa i muscoli, soprattutto quelli che senti più in tensione

Mindfulness

La mindfulness può essere definita come un processo di attenzione consapevole dell'esperienza presente, alle sensazioni del corpo, alle reazioni emotive, alle immagini mentali, ai pensieri e alle esperienze percettive [Creswell (2017)]. Questo processo può avere un impatto positivo sullo stress, in quanto aiuta a regolare le emozioni e aumentare la flessibilità cognitiva. Le persone che praticano regolarmente la mindfulness hanno, inoltre, una reazione diversa nei confronti delle situazioni stressanti: un più moderato livello di attivazione del sistema simpatico, un livello di cortisolo più basso, un minor rischio di ipertensione [Creswell et. al. (2014)].

Un crescente numero di aziende propone percorsi di Mindfulness sul luogo di lavoro, e questi percorsi appaiono avere un impatto positivo sul livello di stress percepito dai partecipanti [@vonderlin_mindfulness-based_2020].

Attività fisica

L'attività fisica aerobica (andare in palestra, in bici, correre, nuotare, camminare, fare danza) ha un effetto positivo sullo stress: le persone che, al lavoro, sono sottoposti ad elevati carichi di stress, sono meno a rischio di burnout se, nel tempo libero, fanno attività fisica [Gerber et. al. (2020)]. L'attività fisica, a livello moderato o moderatamente intenso (al 60, 80% della intensità massima di una persona, VO2max) costituisce una forma di eustress (stress buono). Durante l'attività fisica si attiva l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Ad esempio correre fa aumentare il cortisolo, che però torna a livelli di base dopo qualche ora di riposo (contrariamente a quello che succede nello stress cronico). L'attività fisica moderatamente intensa innesca il rilascio di endocannabinoidi e di endorfine, che attivano l'euforia del runner.
Inoltre l'attività fisica innesca il rilascio del BDNF (brain-derived neurotrophic factor - fattore neurotrofico cerebrale), una proteina che svolge un ruolo cruciale nella neurogenesi, nella crescita, nello sviluppo e manutenzione dei neuroni nel cervello [Heijnen et. al. (2016)].

L'attività fisica contribuisce a prevenire e a ridurre l'ansia e la depressione [Kandola et. al. (2019)], mentre uno stile di vita sedentario associato ad un contesto stressante aumenta il rischio di ipertensione, aumento di cortisolo e livello di infiammazione [Chauntry et. al. (2022)]

Staccare, prendersi delle pause

Il livello di attivazione turbo diventa pesante se dura troppo a lungo. Per questo è fondamentale prendersi delle pause in cui staccare dalla situazione stressante e ricaricare le pile.

Staccare significa allontanarsi, cognitivamente, emotivamente e fisiologicamente, dalla situazione faticosa - o noiosa. Significa prendersi delle breve pause durante il lavoro, significa staccare la spina quando la giornata di lavoro finisce e durante il week end, significa prendersi delle giornate di vacanza.

Se siamo impegnati in un compito cognitivamente impegnativo a lungo e senza interruzioni la nostra performance inesorabilmente cala (diminuzione della vigilanza), soprattutto se il compito è ripetitivo [Ralph et. al. (2017)]. Se il compito è emotivamente impegnativo si possono accumulare emozioni negative.

Le pause (interruzioni volontarie) più utili sono quelle che permettono di rilassarci, di socializzare (a patto che l'interazione sia volontaria e non centrata sul lavoro) o bere un caffè [@kim_micro-break_2017]. Socializzare, rilassarsi, o trascorrere del tempo in cose che ci interessano può avere l'effetto di ridurre le emozioni negative accumulate durante il lavoro e migliorare le prestazioni lavorative.

Psicoterapia

Qualora le strategie adottate non dovessero bastare, può essere utile valutare l'ipotesi di una psicoterapia.

Conclusioni

Per affrontare lo stress è utile un approccio centrato sulla persona, ma spesso è necessario anche un approccio finalizzato a cambiare il contesto organizzativo, quando è il contesto a generare stress acuto o cronico. Dunque cambiare l'ambiente e lavorare su se stessi. Purtroppo spesso non abbiamo controllo sull'ambiente, e questo è un problema. Se il contesto è quello lavorativo, è l'organizzazione che deve riprogettare le condizioni di lavoro per ridurre il rischio di burnout.

Cambiare l'ambiente

  • approccio sistemico: fare dei cambiamenti nel luogo di lavoro, da parte dell'organizzazione
  • modulare i carichi di lavoro
  • garantire buoni livelli di autonomia operativa alle persone e ai team
  • favorire un clima sociale positivo
  • garantile la possibilità di staccare, fare pause, mantenere orari sostenibili

Lavorare su se stessi

  • usare l'autonomia per dosare il livello dell'impegno
  • modulare i pensieri, i processi cognitivi:
    • cambiare il modo di vedere la situazione: reinterpretazione del problema, restrutturazione cognitiva
    • coltivare il pensiero critico e la creatività
    • pianificare
    • aumentare le risorse
    • adottare un approccio flessibile, e se possibile innovare
  • modulare le emozioni:
    • evitamento come soluzione temporanea, quando siamo travolti dalle emozioni, ma non come soluzione a lungo termine, perché peggiora la situazione e ci fa sentire impotenti
    • consapevolezza delle emozioni
    • defusione dai pensieri negativi
    • accettazione delle emozioni (che è diverso dal subire la siutazione)
  • modulare la reazione fisiologica e l'attivazione del sistema nervoso autonomo (parasimpatico vs simpatico)
    • rilassamento
    • attività fisica
    • meditazione
    • tecniche di respirazione
  • organizzare il lavoro
    • se possibile, gestisci al meglio il tuo tempo: definisci delle scadenze ragionevoli, evita di procastinare
    • crea una lista delle cose da fare e, se possibile, stabilisci delle priorità, in base ad importanza e urgenza
    • cerca di rimanere focalizzato sulle cose da fare
    • se possibile prenditi delle pause durante il lavoro: fai due passi, muoviti, fai degli esercizi di respirazione
    • interagisci con i colleghi e, se possibile, chiedi aiuto quando sei in difficoltà
  • riposare, staccare la spina, ricaricare le batterie
  • naturalmente, prenditi cura di te:
    • curare l'alimentazione
    • dormire bene
    • spendere il tempo libero in attività che ti fanno stare bene

Testi citati

Brenner, Sharon L. and Jones, John P. and Rutanen-Whaley, Riitta H. and Parker, William and Flinn, Mark V. and Muehlenbein, Michael P. (2015). Evolutionary Mismatch and Chronic Psychological Stress;
Chauntry, Aiden J. and Bishop, Nicolette C. and Hamer, Mark and Kingsnorth, Andrew P. and Chen, Yu-Ling and Paine, Nicola J. (2022). Sedentary behaviour is associated with heightened cardiovascular, inflammatory and cortisol reactivity to acute psychological stress;
Corbett, Stephen and Courtiol, Alexandre and Lummaa, Virpi and Moorad, Jacob and Stearns, Stephen (2018). The transition to modernity and chronic disease: mismatch and natural selection;
Creswell, J. David (2017). Mindfulness Interventions;
Creswell, J. David and Lindsay, Emily K. (2014). How Does Mindfulness Training Affect Health? A Mindfulness Stress Buffering Account;
Daviu, Nuria and Bruchas, Michael R. and Moghaddam, Bita and Sandi, Carmen and Beyeler, Anna (2019). Neurobiological links between stress and anxiety;
Deci, Edward L. and Olafsen, Anja H. and Ryan, Richard M. (2017). Self-Determination Theory in Work Organizations: The State of a Science;
Feldman, David B. and Kubota, Maximilian (2015). Hope, self-efficacy, optimism, and academic achievement: Distinguishing constructs and levels of specificity in predicting college grade-point average;
Fink, Andreas and Weiss, Elisabeth M. and Schwarzl, Ursula and Weber, Hannelore and de Assunção, Vera Loureiro and Rominger, Christian and Schulter, Günter and Lackner, Helmut K. and Papousek, Ilona (2017). Creative ways to well-being: Reappraisal inventiveness in the context of anger-evoking situations;
Gerber, Markus and Schilling, René and Colledge, Flora and Ludyga, Sebastian and Pühse, Uwe and Brand, Serge (2020). More than a simple pastime? The potential of physical activity to moderate the relationship between occupational stress and burnout symptoms;
Godoy, Lívea Dornela and Rossignoli, Matheus Teixeira and Delfino-Pereira, Polianna and Garcia-Cairasco, Norberto and de Lima Umeoka, Eduardo Henrique (2018). A Comprehensive Overview on Stress Neurobiology: Basic Concepts and Clinical Implications;
Heijnen, Saskia and Hommel, Bernhard and Kibele, Armin and Colzato, Lorenza S. (2016). Neuromodulation of Aerobic Exercise—A Review;
Hostinar, Camelia E. and Sullivan, Regina M. and Gunnar, Megan R. (2014). Psychobiological Mechanisms Underlying the Social Buffering of the {HPA} Axis: A Review of Animal Models and Human Studies across Development;
Kandola, Aaron and Ashdown-Franks, Garcia and Hendrikse, Joshua and Sabiston, Catherine M. and Stubbs, Brendon (2019). Physical activity and depression: Towards understanding the antidepressant mechanisms of physical activity;
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Nesse, Randolph and Bhatnagar, S. and Ellis, Bruce (2016). Evolutionary Origins and Functions of the Stress Response System;
Peifer, Corinna and Schulz, André and Schächinger, Hartmut and Baumann, Nicola and Antoni, Conny H. (2014). The relation of flow-experience and physiological arousal under stress — Can u shape it?;
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